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Festa

by Luca Santese
Curated by Nicola Patruno


La Festa è l’eterna ripetizione di un evento primigenio, accaduto in un tempo tanto profondo da essere impossibile da stabilire. 


È un tempo fuori dalla storia, prossimo all’eterno e che continua a riecheggiare negli abissi dell’umanità. È il mito, letteralmente la “parola vera”, a raccontare questo tempo primordiale, a delinearne i contorni, ad evocarne il suono originario.

È un tempo, quello della Festa, che il brusio dell’indaffarata vita quotidiana tende a coprire con una coltre di chiacchiere e insoddisfazione, nella speranza vana che l’abisso primigenio da cui tutto proviene cessi di incutere terrore. Così non è: se l’abisso non lo si guarda a fondo, si ripresenta in modo sempre più insistente e inquietante.

La cultura si può dire che nasca proprio dallo sguardo che l’uomo ha avuto il coraggio di rivolgere verso l’abisso, agli albori della nascita della civiltà occidentale, nella Grecia arcaica, omerica, pre- filosofica. Così, dall’incontro tra il chaos primigenio personificato dal dio Dioniso e la luminosa – e talvolta accecante – sfera solare di Apollo, nascono le forme dell’arte.

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L’arte nasce dal terrore, dalla volontà di dare forma alla sofferenza insita nella natura mortale dell’uomo, nella sua disperata finitezza.

La Festa è luogo ed evento di manifestazione comunitaria dell’arte, momento in cui gli archetipi dell’orrore primigenio vengono rievocati, in cui il vagito disperato dell’umanità prende forma e si fa danza, figura, suono, parola.

La serie di fotografie/opere che compongono la Festa sono una riappropriazione di questi archetipi e delle loro forme: l’organico, la pulsazione vitale, l’emergere della figura umana e della sua maschera, l’implacabilità del ciclo naturale vita-morte.


La Festa è inevitabilmente un’opera tragica, nella misura in cui prende forma come confronto artistico con la dimensione primordiale e profonda dell’umano. Nella Festa risuonano le parole del canto che le officianti del rito dionisiaco intonano attorno alla vittima sacrificale, Dioniso squartato, il capro – tragedia significa letteralmente “canto del capro”, tràgos è “capro”, oidè “canto”. La tragedia è il modo con cui l’abisso viene mostrato, “rappresentato” nella sua connaturata irrappresentabilità. Per questo la tragedia è consapevolmente destinata a fallire e il suo valore consiste proprio in questo gioioso tentativo disperato di dare forma al chaos.





I colori presenti in ogni opera della serie sono direttamente attinti all’aposematismo, cioè quell’attitudine di diverse specie animali ad assumere colori che possano spaventare eventuali predatori trasmettendo cromaticamente la loro tossicità. Questi colori repellenti sono un richiamo diretto alla lotta che popola il mondo degli organismi viventi, dai più semplici come le piante, ai più complessi come gli insetti, i mammiferi e l’uomo. I contorni delle immagini sono circondati dall’oscurità, dalla tenebra, che trova una tregua principalmente nel colore rosso, come se fosse solo un fuoco ardente ad illuminare la scena.


(Installation project whiteboard)

Alla serie di dodici immagini si aggiunge un’opera testuale che completa l’esposizione. In essa compare una costellazione di parole, di accenni, di direttrici di senso che sono indispensabili per l’orientamento del visitatore all’interno delle opere visuali. Non si tratta di un testo didascalico, descrittivo, univoco bensì di un’opera espressiva che indirizzi il fruitore senza però costringerlo in un percorso e in un’esperienza precostituiti.
Nicola Patruno

(Installation shots, Feb. 2019)